Un artista milanese che dipinge i pensieri…

Negli anni ’60 la pubblicità commerciale in Italia era agli esordi. Professionalmente un «pubblicitario» non era nemmeno una categoria riconosciuta; si dovette arrivare agli anni’80 per avere una associazione ufficiale.Chi operava in questo settore non sapeva nemmeno cosa rispondere a chi gli chiedesse: che lavoro fai? La denominazione indicativa era: pittore, solo dopo parecchi anni sarebbe diventato «grafico», art director, marketing manager ecc,.I pittori provenivano dalle accademie e dalle scuole d’arte, rare e poco diffuse e conosciute in Italia. Una realtà assurda se si pensa che l’Italia è stata in passato la nazione più artistica in assoluto del mondo. A Milano ce ne erano due: l’accademia di Brera, oracolo storico dell’arte, frequentata da pochi eletti che potevano permettersi di non lavorare di giorno come facevano quelli, come me, che di giorno erano impiegati presso un’azienda e di sera frequentavo la seconda: la Scuola Superiore d’Arte Applicata all’Industria. Quest’ultima, esclusivamente serale, era a indirizzo professionale; seria e ben seguita da insegnanti anch’ essi lavoratori durante il giorno. Si imparava, oltre al disegno e alla pittura tradizionale, le tecniche dell’affresco, del mosaico, il restauro, la scultura, la fotografia. Un ambiente decisamente artistico, situato all’interno del Castello Sforzesco di Milano. Nel periodo del boom economico italiano nacquero moltissime aziende e quelle già esistenti conobbero uno sviluppo enorme. Ecco allora la richiesta da parte loro di «comunicare» con i consumatori…fare pubblicità. Ebbe così inizio la pubblicità con la P maiuscola, come in America che era un punto di riferimento da emulare. E chi poteva occuparsi di questa nuova professione importante? I pittori. A loro era riconosciuto il buon gusto dei colori, la precisione delle decorazioni e la manualità e la creatività. Così iniziò il passaggio dal pennello/tela al bozzetto/depliant e successivamente la fotografia, la radio e la televisione. Fu un periodo esaltante per i pittori che si sentivano appagati dalle loro conoscenze artistiche che potevano «rendere» economicamente alle aziende che producevano di tutto, dai mobili alle auto, dai vestiti agli alimentari. Finalmente un pittore poteva vivere di uno stipendio sicuro, fare carriera e addirittura divenire lui stesso impresa con collaboratori e clienti propri. Fino agli anni ’90 fu un’ escalation irrefrenabile, quindi si poterono consolidare famiglie, mandare i figli nelle scuole private, acquistare casa, elettrodomestici, automobile e viaggi vacanza. Tubetti di colore, tele e pennelli furono accantonati per abbracciare incondizionatamente il nuovo benessere, è comprensibile… ecco come sono divenuto un pubblicitario.


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